sabato 19 gennaio 2008

Dal sogno alla rabbia


"Per tanti anni, dopo l'estate del 1992 e le stragi di Capaci e via D'Amelio, sono stato in tante città d'Italia, soprattutto nelle scuole, a parlare di speranza, di volontà di lottare, di quell'alba che vedevo vicina grazie alla rinascita della coscienza civile. Poi quell'alba si è rivelata solo un miraggio, la coscienza civile si è di nuovo assopita sotto il peso dell'indifferenza e quella che sembrava essere la volontà di riscatto dello Stato nella lotta alla criminalità mafiosa si è di nuovo spenta. Allora ho sentito crescere in me sentimenti di disillusione, di rabbia, e a poco a poco la sfiducia veniva sostituita dalla sfiducia nello Stato. Allora ho smesso di parlare ai giovani, per anni non sono più andato nelle scuole. Da questo mio volontario isolamento sono stato costretto a uscire nel momento in cui la rabbia ha raggiunto il punto di rottura". Sono le parole con cui Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo ucciso dalla mafia il 19 luglio 1992, ha esordito davanti al pubblico di Crema. Parole forti, sentite e trascinanti; il pensiero sincero e rabbioso di un uomo mosso da un senso della giustizia che purtroppo in questo Paese sta sempre venendo meno. La serata organizzata dal blog "Fuori Gioco" e dal gruppo de "I Grilli di Cremona e Crema", ha visto il fratello dell'ex procuratore di Palermo parlare a ruota libera nella cornice di una scuola "Galmozzi" gremita.

Borsellino non ha usato mezzi termini bollando come "indegni" quei parlamentari che siedono tra i banchi delle istituzioni pur avendo alle spalle condanne, prescrizioni o essendo stati salvati solo da "leggi ad personam" create su misura, condendo qua e là il proprio intervento con citazioni tratte da pensieri del fratello Paolo, di Giovanni Falcone e di tanti altri. Alla serata è intervenuto anche Benny Calasanzio, un giovane agrigentino cui la mafia ha ucciso lo zio, Paolo Borsellino omonimo del magistrato, e il nonno, Giuseppe Borsellino, nella più assoluta indifferenza di una Sicilia venata di omertà e pregiudizio. Un racconto, il suo, che lascia attoniti e increduli.


Toccante il momento finale, quando Borsellino ha scandito ad alta voce i nomi dei magistrati ammazzati dalla mafia dal '70 ad oggi. Uno per uno, accompagnati da una frase che Piero Calamandrei, riferendosi agli eroi della Resistenza, pronunciò nel 1947 al'Assemblea Costituente. "Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all'Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più difficile: quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella Giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole: quello di tradurre in leggi chiare, stabili ed oneste il loro sogno: di una società più giusta e più umana. Di una solidarietà di tutti gli uomini alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità chiedono a noi i nostri morti. Non dobbiamo tradirli".


A Salvatore Borsellino il grazie della società civile di Crema.

Nessun commento: